(Marcel Proust, Dalla parte di Swann)
Cosa significa comfort food?
Quello descritto da Proust è forse il più noto caso di comfort food della storia.
L’espressione comfort food si riferisce a quegli alimenti che donano un particolare senso di piacere a chi li consuma, che soddisfano un bisogno emotivo e che sono noti per la sensazione di benessere che regalano nell’immediato. L’aggettivo inglese comfort si presta a più interpretazioni: dalla capacità del cibo di confortare, consolare, coccolare a quella di ristorare, lenire, alleviare.
Il comfort food cela sapori carichi di ricordi, emozioni che ritornano, più vive che mai, non appena si gusta quel cibo che infonde un sentimento di nostalgia e, al tempo stesso, di rassicurazione. In genere, è un sapore legato all’infanzia o che ricorda una persona in particolare, un luogo specifico, un tempo felice. In tal senso, qualsiasi cibo può diventare un comfort food e ognuno di noi avrà il suo personalissimo legame con esso.
Perché si cerca conforto nel cibo?
La domanda sorge spontanea. Il bisogno può derivare da fattori diversi e di diversa “intensità”: un lutto, una mancanza, un periodo di forte stress, un litigio, uno shock… e la preferenza per uno specifico tipo di cibo è spesso basata sull’inconscia associazione a ricordi piacevoli. Così come, a volte, quando si sta male, ci si rifugia nella spensieratezza di un momento felice del passato, può capitare anche che, senza rendersene conto, ci si rifugi in un ricordo piacevole assaporando il proprio comfort food a esso associato. Il comfort food diventa, quindi, una sorta di irrinunciabile Isola che non c’è o copertina di Linus.
Oltre a quelli che fanno rivivere un ricordo soggettivo, esistono alimenti che favoriscono oggettivamente il rilascio di endorfine, dopamina e serotonina contribuendo, in maniera naturale, a ridurre momentaneamente lo stress e amigliorare l’umore; uno di questi è il cioccolato fondente. Nel caso del comfort food, alla capacità di influire sull’umore grazie al rilascio di queste sostanze si aggiunge anche il valore emotivo legato a esperienze particolarmente significative.
L’evidente combinazione di aspetti psicologici e fisiologici, dunque, fa sì che sotto la definizione di comfort food rientri una dimensione estremamente complessa di fattori che possono influenzare notevolmente il comportamento alimentare.
Il comfort food è una pessima abitudine?
Se ci si abitua a tentare di “risolvere” o affrontare un momento di malessere attraverso il comfort food, lentamente questa abitudine si radicherà così a fondo da divenire quotidiana e, di fatto, andrà a configurarsi come la modalità principale per fronteggiare lo stress, fino a diventare un automatismo a livello inconscio. Può capitare di ricorrere al comfort food in occasioni isolate, ma è ben diverso ricorrervi ogni giorno perché, magari, il malessere non è legato a un singolo episodio, ma perdura nel tempo. Quando il comfort food diventa un’abitudine può incidere pesantemente sul peso corporeo, perché difficilmente sarà possibile sradicare una strategia di problem solving a cui si ricorre da tanto tempo.
Pertanto, appare evidente che tutte le persone in sovrappeso a causa di queste ragioni (sinteticamente definibili come “emotional eating”) non riescano a beneficiare dei risultati di una dieta ipocalorica: in quel caso, il problema non è riconducibile ad un elenco di cibi concessi o da evitare, ma alle modalità di gestione del disagio e della sofferenza.
La psicoterapia rivolta al controllo del peso corporeo sarà, in questi casi, il trattamento d’elezione, consentendo di esplorare i vissuti emotivi legati al cibo, le abitudini disfunzionali consce e inconsce, il sistema di credenze della persona e il suo atteggiamento, in senso più ampio, nei confronti della vita. “Dimagrire” passerà dall’essere un imperativo o un’ossessione al divenire semplicemente e naturalmente “l’effetto secondario” di un percorso completo e profondo d’indagine del sé.
Dott.ssa Federica Majore
Psicologa del Comportamento Alimentare
Psicoterapeuta
3924131042
federica.majore@gmail.com
