“Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati madeleine, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta ? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. […] Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità […]. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi… all’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio…
(Marcel Proust, Dalla parte di Swann)

Cosa significa comfort food?

Quello descritto da Proust è forse il più noto caso di comfort food della storia.

L’espressione comfort food si riferisce a quegli alimenti che donano un particolare senso di piacere a chi li consuma, che soddisfano un bisogno emotivo e che sono noti per la sensazione di benessere che regalano nell’immediato. L’aggettivo inglese comfort si presta a più interpretazioni: dalla capacità del cibo di confortare, consolare, coccolare a quella di ristorare, lenire, alleviare.

Il comfort food cela sapori carichi di ricordi, emozioni che ritornano, più vive che mai, non appena si gusta quel cibo che infonde un sentimento di nostalgia e, al tempo stesso, di rassicurazione. In genere, è un sapore legato all’infanzia o che ricorda una persona in particolare, un luogo specifico, un tempo felice. In tal senso, qualsiasi cibo può diventare un comfort food e ognuno di noi avrà il suo personalissimo legame con esso.

Perché si cerca conforto nel cibo?

La domanda sorge spontanea. Il bisogno può derivare da fattori diversi e di diversa “intensità”: un lutto, una mancanza, un periodo di forte stress, un litigio, uno shock… e la preferenza per uno specifico tipo di cibo è spesso basata sull’inconscia associazione a ricordi piacevoli. Così come, a volte, quando si sta male, ci si rifugia nella spensieratezza di un momento felice del passato, può capitare anche che, senza rendersene conto, ci si rifugi in un ricordo piacevole assaporando il proprio comfort food a esso associato. Il comfort food diventa, quindi, una sorta di irrinunciabile Isola che non c’è o copertina di Linus.

Oltre a quelli che fanno rivivere un ricordo soggettivo, esistono alimenti che favoriscono oggettivamente il rilascio di endorfine, dopamina e serotonina contribuendo, in maniera naturale, a ridurre momentaneamente lo stress e amigliorare l’umore; uno di questi è il cioccolato fondente. Nel caso del comfort food, alla capacità di influire sull’umore grazie al rilascio di queste sostanze si aggiunge anche il valore emotivo legato a esperienze particolarmente significative.

L’evidente combinazione di aspetti psicologici e fisiologici, dunque, fa sì che sotto la definizione di comfort food rientri una dimensione estremamente complessa di fattori che possono influenzare notevolmente il comportamento alimentare.

Il comfort food è una pessima abitudine?

Se ci si abitua a tentare di “risolvere” o affrontare un momento di malessere attraverso il comfort food, lentamente questa abitudine si radicherà così a fondo da divenire quotidiana e, di fatto, andrà a configurarsi come la modalità principale per fronteggiare lo stress, fino a diventare un automatismo a livello inconscio. Può capitare di ricorrere al comfort food in occasioni isolate, ma è ben diverso ricorrervi ogni giorno perché, magari, il malessere non è legato a un singolo episodio, ma perdura nel tempo. Quando il comfort food diventa un’abitudine può incidere pesantemente sul peso corporeo, perché difficilmente sarà possibile sradicare una strategia di problem solving a cui si ricorre da tanto tempo.

Pertanto, appare evidente che tutte le persone in sovrappeso a causa di queste ragioni (sinteticamente definibili come “emotional eating”) non riescano a beneficiare dei risultati di una dieta ipocalorica: in quel caso, il problema non è riconducibile ad un elenco di cibi concessi o da evitare, ma alle modalità di gestione del disagio e della sofferenza

La psicoterapia rivolta al controllo del peso corporeo sarà, in questi casi, il trattamento d’elezione, consentendo di esplorare i vissuti emotivi legati al cibo, le abitudini disfunzionali consce e inconsce, il sistema di credenze della persona e il suo atteggiamento, in senso più ampio, nei confronti della vita. “Dimagrire” passerà dall’essere un imperativo o un’ossessione al divenire semplicemente e naturalmente “l’effetto secondario” di un percorso completo e profondo d’indagine del sé.

Dott.ssa Federica Majore
Psicologa del Comportamento Alimentare
Psicoterapeuta
3924131042
federica.majore@gmail.com

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