Vorrei proporvi una riflessione sul termine DETOX, molto in uso di questi tempi in cui la cura della persona, del corpo e della salute è più che mai al centro dell’attenzione mediatica e individuale. Darei avvio a questa riflessione a partire dal noto brano di Proust sul comfort food.
“…E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della madeleine.Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta?“
(Marcel Proust, “Dalla parte di Swann”)

Il cibo è affetto e relazione
Appena nati, assumiamo il latte dal seno materno come nutrimento vitale e, crescendo, impariamo ad interpretare la preparazione ed il consumo di cibo come un atto d’amore. La convivialità, in termini culturali, rappresenta da sempre un veicolo di relazione: dal pranzo con i parenti all’ aperitivo con gli amici, il cibo funge da collante tra noi e gli altri. E’ un potente mezzo di condivisione: festeggiamo le cerimonie davanti ad una tavola imbandita, offriamo vivande ai nostri ospiti, prepariamo una cena romantica per il partner, e così via.
Tutti noi associamo al cibo eventi sociali ed emotivi che hanno una valenza diversa rispetto alla sensazione di fame ed al bisogno di nutrimento: in quest’ottica,mangiare è si una necessità, ma – più di ogni altra cosa – un piacere. Sappiamo, inoltre, che mangiando si attenuano stimoli non solo fisiologici – come crampi allo stomaco e senso di debolezza, quando si ha fame – ma anche psicologici. Vi sono, ad esempio, alimenti che favoriscono il rilascio di endorfine[1], dopamina[2], ossitocina[3] e serotonina[4], contribuendo in modo naturale a ridurre, almeno momentaneamente, sensazioni di stress e nervosismo.
Vi sono poi dei particolari cibi, definiti “comfort food”[5], che hanno il potere di influenzare l’ umore grazie al loro valore simbolico. Ma in che modo un alimento può incidere sulla coloritura emotiva della nostra giornata? L’aggettivo inglese “comfort” indica la capacità di uno specifico oggetto di consolare, coccolare, ristorare, alleviare. Con questo termine, si indicano dunque quegli alimenti che pervadono di un senso di piacere chi li consuma, compensando un bisogno emotivo grazie alla sensazione di immediato benessere e gratificazione che regalano alla mente ed al corpo. Il comfort food si nasconde in quel sapore carico di ricordi, in quell’ emozione che ricompare più viva che mai non appena si gusta quel cibo che infonde un sentimento di nostalgia e, al tempo stesso, di rassicurazione. In genere, si tratta di sapori legati all’ infanzia o ad una persona specifica, ad un luogo o ad un tempo felice (la torta della nonna, i biscotti della zia…).

Il comfort food come fonte di intossicazione
I comfort foods sono dunque cibi appaganti, grazie alle loro proprietà psico-fisiologiche benefiche. Ma in che modo questi alimenti “magici” possono assumere una valenza tossica per la mente e l’organismo? Sotto la definizione di comfort food rientra una dimensione estremamente complessa di fattori, che influenzano notevolmente il comportamento. E’ importante considerare, infatti, la valenza ingannevole del comfort food come strategia di risoluzione dei problemi della vita quotidiana. E’ noto, infatti, come molte persone soffrano di sovrappeso ed obesità a causa dell’eccessivo ed incontrollato consumo di cibi ricchi di grassi e zuccheri: cioccolato, patatine fritte e pizza rappresentano i cibi di conforto per eccellenza. Quei sapori che ci premiano alla fine di una giornata pesante, che ci ricompensano di fatiche e malumori, che ci viziano in un momento “no”.
Quando i nostri sensi vengono esposti ad uno specifico alimento “comfort” (a volte, basta solamente immaginarlo!) il cervello rilascia dopamina, un neurotrasmettitore che influenza la salute sotto molteplici aspetti, incidendo sul senso del piacere e della ricompensa. A tal proposito, la dopamina gioca un ruolo centrale nelle dipendenze da alcol, droghe e da alcuni farmaci. Allo stesso modo, più mangeremo un determinato tipo di alimento e più proveremo piacere nel farlo, più il nostro corpo ne chiederà ancora e ancora. La sensazione piacevole che ne deriverà fungerà da rinforzo, spingendoci a ripetere questo comportamento nel tempo, fino a renderlo un vero e proprio automatismo.
E così, senza rendercene conto, ogni volta che ci sentiremo giù di corda, annoiati, stanchi, tristi o stressati ci verrà spontaneo tentare di risollevare l’umore… mangiando!
Appare chiaro come l’inclinazione a rivolgersi al cibo come fonte di “salvezza” dalle difficoltà della vita quotidiana possa, lentamente, trasformarsi in una pericolosa abitudine. Giorno dopo giorno impareremo, inconsapevolmente, ad affrontare momenti di malessere psico-fisico attraverso il consumo di cibo: questo comportamento potrà divenire, gradualmente, la nostra modalità principale di gestione dei problemi. Piuttosto che uscire con gli amici, leggere un libro, sfogarci con qualcuno, fare un bagno caldo, meditare o fare introspezione, alla ricerca di una sana espressione di pensieri ed emozioni, l’accoppiata stress = comfort food risulterà vincente.
Chiariamolo: ricorrere al comfort food una tantum non crea alcuna dipendenza, né incide negativamente sulla salute. Come per ogni cosa, sarà l’eccesso a fare la differenza. Quando il malessere che viviamo non è legato ad un singolo momento e mangiare a dismisura diventa l’unica valvola di sfogo, il rischio di utilizzare il cibo come un’arma puntata contro noi stessi, intossicandoci fisicamente e psicologicamente, è concreto.
Tra i pericoli maggiori del consumo di cibi ricchi di grassi e zuccheri, ad esempio, annoveriamo: problemi cardiovascolari, diabete, colesterolo alto, ipertensione arteriosa, squilibri metabolici, problemi di digestione, problemi alla funzionalità epatica, sovrappeso ed obesità. Da sovrappeso ed obesità derivano, poi, problemi di natura psicologica: bassa autostima, immagine di sé negativa, stigma sociale, difficoltà relazionali e così via. Lentamente, un alleato – fonte di benessere ed appagamento – diviene il nostro peggior nemico… che abbiamo, involontariamente, addestrato ed armato contro di noi!

Il Detox
La disintossicazione alimentare è una pratica utilizzata da secoli dalle culture di tutto il mondo. Nell’ antichità, profeti e monaci non praticavano il detox per perdere peso od ottenere un corpo snello. Si trattava, piuttosto, di una pratica di mindfulness[6] per essere più presenti a se stessi, ricavandone una sorta di illuminazione, una visione più chiara, più saggia e più vicina alla divinità. In tutte le religioni (Giudaismo, Cristianesimo, Islam) l’astinenza dal cibo come detox assume un significato spirituale. Secondo questa filosofia, frenando la soddisfazione immediata di un desiderio, l’uomo sviluppa e rafforza la capacità di autocontrollo, purificando l’anima per essere più vicino a Dio. Anche secondo il Buddhismo, il detox rappresenta un cammino di disciplina interiore, utile a liberare la mente e raggiungere un più alto livello di spiritualità.
Il termine detox assume, in chiave psicoterapica, il significato simbolico di un percorso di “purificazione” della mente; un modo per imparare a vedere con chiarezza, e quindi a gestire, le proprie difficoltà, blocchi, paure ed emozioni dolorose, predisponendo mente e corpo al cambiamento. La psicoterapia ci dà, a qualunque età, una nuova possibilità di rielaborare ed abbandonare abitudini disfunzionali e pensieri negativi assieme alla rielaborazione di tutto ciò che di doloroso, ingombrante e nocivo avvelena il nostro essere.
Disintossicarsi mentalmente significa anche liberarsi dalla dolorosa sensazione di essere in trappola, di non poter cambiare. Poter dire: “non ne ho più bisogno”. Significa riuscire a prendersi cura di sé in modo sano; a ritrovare un equilibrio per poter godere, ad esempio, del cibo come fonte di nutrimento e dei comfort foods come piccoli e preziosi attimi di piacere e non più come strategie di contenimento emotivo.
In questo senso, la psicoterapia come detox aiuta a sviluppare un maggior equilibrio interno, incrementando la capacità di controllare i propri impulsi. Raggiungere un profondo livello di consapevolezza sarà lo scopo primario, rendendo visibili – e quindi modificabili – ai nostri occhi quei meccanismi su cui, solitamente, non abbiamo controllo.
Prendere le distanze dalla bramosia (“craving”) e dalla dipendenza dal cibo porta ad una rinnovata percezione del senso di fame e sazietà, alla riflessione sul chi si è veramente e di cosa si è capaci. La persona, nel tempo, si riscopre in grado di canalizzare in modo funzionale le proprie emozioni, abbandonando per sempre l’istinto di consolarle mangiando.
In altre parole, utilizziamo la metafora della psicoterapia come detox perché essa aiuta a fare chiarezza (da “CLEAN”, adj. [pure, neat] puro, netto, pulito, chiaro) su di sé, sul proprio mondo interiore, che si riflette sull’immagine di sé allo specchio.
La Psicoterapia come detox rappresenta dunque una chance per liberarsi da ciò che avvelena la mente, per riscoprire e mantenere stabilmente una dimensione psico-fisiologica più sana ed equilibrata.

dott.ssa Federica Majore
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicoanalista
psicoalimentare@gmail.com – +39 392.4131042
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[1] Le endorfine – ormoni prodotti dall’ipofisi – svolgono un ruolo antidepressivo ed antidolorifico. Inoltre favoriscono il sonno, la concentrazione e l’apprendimento.
[2] La dopamina è un neurotrasmettitore che incide su: comportamento, cognizione, motivazione, senso di punizione e soddisfazione, qualità del sonno, dell’umore, della soglia dell’attenzione, della memoria e dell’ apprendimento.
[3] Ormone prodotto dall’ipotalamo, l’ossitocina contribuisce a regolare i comportamenti sociali, sessuali e materni.
[4] Neurotrasmettitore che regola i ritmi circadiani, la serotonina interviene nel controllo dell’appetito e del comportamento alimentare, nella regolazione dell’ umore, dell’apprendimento e della memoria.
[5] “Comfort Food” (definizione). Merriam-webster.com. Accessed July 2011.
[6] E’ la traduzione di “sati” che, in lingua pali (il linguaggio utilizzato dal Buddha per i suoi insegnamenti), significa consapevolezza ed attenzione, qualità dell’essere che possono essere sviluppate attraverso la meditazione.
