Come italiani sappiamo che il cibo, nella nostra tradizione e cultura, è un fondamentale veicolo di relazione e convivialità: dal pranzo con i parenti all’ aperitivo con gli amici, il cibo funge da collante tra noi e gli altri ed è un potente mezzo di condivisione. Festeggiamo con il cibo le cerimonie, offriamo cibo ai nostri ospiti, prepariamo una cenetta romantica per il/la partner e così via. E’ chiaro che tutti noi associamo al cibo eventi sociali ed emotivi che hanno una valenza diversa dalla semplice  fame: mangiare è si una necessità, ma, soprattutto, è un piacere.
Facciamo un esempio molto importante per il tema della consapevolezza alimentare: parliamo di alimentazione emotiva e comfort foods.

I cosiddetti comfort foods sono cibi che ci aiutano a gestire delle situazioni difficili. L’aggettivo inglese “comfort” indica infatti la capacità del cibo di consolare, coccolare, ristorare, alleviare… Con questo termine si indicano dunque alcuni alimenti che pervadono di un senso di piacere chi li consuma, che soddisfano un bisogno emotivo e sono noti per la sensazione di benessere che regalano al corpo. Capita, così, di rivolgerci ai nostri comfort foods senza essere realmente affamati. Immaginiamo que­sto comportamento ripetuto nel tempo. Immaginiamo che possa accadere tutti i giorni, anche più volte al giorno. Questo avrà inevitabili conseguenze sul peso corporeo e, in generale, sulle abitudini della vita quotidiana.

È dunque molto importante divenire consapevoli della differenza che c’è tra mangiare per necessità, cioè per fabbisogno naturale, per deficit calorico, e mangiare per spinta emotiva, ossia in base a stati d’animo che, negli anni, abbiamo imparato a gestire attraverso il cibo. Ad esempio, può capitare di sentirci giù di morale e cercare sistematicamente appagamento in una cioccolata calda, in un pacchetto di patatine o di biscotti. Questo comportamento non causa alcun problema se si verifica una tantum; ma se diventa quotidiano o addirittura si verifica più volte al giorno, di sicuro ci porterà ad ingrassare.

Ma come possiamo riconoscere la fame emotiva? Imparando ad identificarne alcune caratteristiche specifiche.

  • Innanzitutto, arriva improvvisamente. Sentiamo di dover mangiare subito, di non poter rimandare. Abbiamo FAME e vogliamo soddisfarla, in modo quasi automatico!
  • Richiede particolari alimenti o comfort foods. A differenza della fame biologica, per cui qualsiasi cibo può saziarci, quando arriva la fame emotiva siamo attratti da cibi solitamente ricchi di grassi o zuccheri. Conoscete qualcuno che, quando è nervoso o si sente solo o stanco, sgranocchia del sedano? Questo non avviene quasi mai. I cibi che ci attirano, in questi momenti, sono ben altri.
  • Si associa ad una minore consapevolezza. Prima che possiamo rendercene conto, avremo già finito la busta delle patatine od il pacco di biscotti.
  • Spesso, il senso di insoddisfazione rimane anche dopo aver mangiato a sazietà e ne vorremmo ancora e ancora. Non riusciamo a fermarci. Non sentiamo arrivare il senso di sazietà.
  • Mangiare per fame emotiva può farci sentire in colpa e spesso, dopo aver “ceduto”, proviamo vergogna e fallimento, soprattutto se vogliamo dimagrire.

Tutti questi fattori ci aiutano a chiarire come alcune problematiche legate al cibo non siano affatto correlate alla fame o ad elenchi di cibi si/cibi no, ma a complicazioni di natura psicologica, emotiva, relazionale.

A tutti voi sarà capitato di stare a dieta, o di sentire di altre persone che sono a dieta ma che fanno un’enorme fatica a non “sgarrare”, oppure vi sarà successo di fare una dieta ed interromperla prima del termine. In altri casi, il comportamento alimentare problematico si innesca ed evolve nell’ ambito familiare: parliamo ad esempio dell’utilizzo del cibo come premio o punizione per i nostri figli, ma pensiamo anche a quelle famiglie con bimbi con un’alimentazione estremamente selettiva, che rifiutano quasi tutto, od a famiglie con adolescenti che manifestano i primi sintomi di un disturbo alimentare, come anoressia e bulimia.

Il lavoro dello Psicoterapeuta è, in questo caso, quello di aiutare le persone a divenire consapevoli del proprio stile di vita, del proprio rapporto con il cibo e con il proprio corpo, per aiutarli a modificarlo al meglio.

Ma veniamo ai consigli pratici: in che modo è possibile affrontare il problema?

  • Informandosi su cosa significhino concetti come emotional eating e comfort foods ed in che modo essi incidano sul nostro senso di fame e sazietà. Non limitiamoci a considerare la dieta come unico strumento di risoluzione del problema perché, se il problema non è legato alla nutrizione ma al comportamento, la dieta inevitabilmente fallirà.
  • Imparando ad ascoltarci per distinguere la “vera fame” dalla “fame emotiva”. Un metodo molto semplice è quello di fermarci per un momento, appena avvertiamo lo stimolo, bevendo 2 grandi bicchieri d’acqua, molto lentamente. Lo stomaco di una persona adulta ha, in media, una capacità di mezzo litro. Questo significa che mezzo litro d’acqua basta, tendenzialmente, a riempirlo per un po’. Se, pur avendo appena bevuto mezzo litro d’acqua, sentiamo ancora una fame incontrollabile, un senso di frustrazione ed un bisogno impellente di mangiare, probabilmente quella che stiamo avvertendo non è fame biologica, ma è fame emotiva.
  • A questo punto dovremo domandarci: cos’ è che mi spinge a desiderare di mangiare proprio ora e proprio un determinato tipo di cibo? Perché sento di non poter assolutamente rimandare? Se mangiassi esattamente quel che desidero, qui ed ora, questo servirebbe a risolvere il mio problema?
  • E’ possibile lavorare su questi 3 punti tenendo, per almeno un mese, un diario alimentare quotidiano per prendere coscienza di come, quanto e quando si mangia, in relazione a quali emozioni o eventi hanno scatenato il bisogno di mangiar troppo o di gettarsi su determinate tipologie di alimenti.
  • Ricordando che dire ATTIVITÀ FISICA non è come dire PALESTRA. Si può fare attività fisica semplicemente salendo le scale, scendendo dall’ autobus una fermata prima e arrivando a casa a piedi, passeggiando mezz’ ora in più al giorno con il cane, insomma cogliendo le occasioni che naturalmente la vita ci offre per FARE MOVIMENTO. Incrementare il livello di attività fisica, oltre ad avere un effetto positivo sull’ umore, ci aiuterà a mantenere uno stile di vita più sano e regolato ed a favorire, laddove serva, una sana e graduale perdita di peso.
  • Se da soli non riusciamo, rivolgendoci ad uno specialista. Se il nostro problema è legato all’ avere qualcuno che ci dica cosa dobbiamo mangiare e quando dobbiamo mangiare e necessitiamo di una rieducazione da un punto di vista nutrizionale, dovremo rivolgerci ad un medico dietologo o ad un biologo nutrizionista. Se la nostra alimentazione è a posto e vogliamo lavorare sulla forma fisica, avremo bisogno di un personal trainer qualificato e certificato per questo. Se invece ci rendiamo conto che abbiamo un cattivo rapporto con il cibo e con il nostro corpo per ragioni diverse; relazionali, emotive, in una parola psicologiche, il professionista a cui dobbiamo rivolgerci è lo Psicoterapeuta esperto nella gestione del comportamento alimentare.

La Psicoterapia può aiutarci a volerci bene ed a raggiungere gli obiettivi in modo sano ed equilibrato. Andare da uno psicoterapeuta non significa stare male o essere malati, significa voler stare meglio, voler acquisire degli strumenti in più per affrontare e saper gestire situazioni problematiche, voler lavorare sul proprio benessere per renderlo maggiore e duraturo.

dott.ssa Federica Majore
Psicologa – Psicoterapeuta

Estratto dal seminario gratuito organizzato in collaborazione con Idee con Gusto – www.ideecongusto.it  – sabato 19/12/2015 – Villaggio di Natale @Ponte Milvio, Roma

Torna al Blog