L’ispirazione per la scrittura di questo articolo mi è giunta dal gruppo Facebook “Dimagrire con la testa” che amministro assieme alla collega, psicologa e psicoterapeuta, dott.ssa Valentina Scarfini.
Nel ultimi mesi ci siamo imbattute in decine di gruppi “social” in cui la tematica comune è il desiderio di perdere peso.
Le interazioni che avvengono al loro interno sono anch’esse molto simili tra loro.
Si basano sulla ricerca di consigli alimentari e/o sullo stile di vita, richiesti ad altri utenti che sono lì, a loro volta, per lo stesso motivo – ossia per dimagrire da un lato e richiedere consigli e suggerimenti dall’altro.
La gran parte di questi gruppi viene gestita da persone con lo stesso problema dei partecipanti – in corso o risolto: in ogni caso, hanno accumulato esperienza “sul campo” – mentre una minoranza viene condotto da figure di vario genere, tra cui
professionisti della salute alimentare (dietisti, biologi, più raramente medici)
– coach o consulenti non meglio specificati
venditori di prodotti dietetici (integratori, polveri, barrette…)
– anonimi che utilizzano pseudonimi e ti invitano a fare cose tipo: “scrivi ‘ok’ se vuoi dimagrire, e ti contatterò in privato per spiegarti come funziona il mio metodo infallibile!!”

(NB: Un caso a parte, che non tratterò in questa sede, sono i gruppi “pro-ana” che pericolosamente dilagano tra gli adolescenti, che si scambiano consigli su come sviluppare disturbi alimentari gravi come anoressia e bulimia nervosa, al fine di “diventare perfette”.)

La maggior parte di questi gruppi, stando alle nostre ricerche, ha dimostrato un alto tasso di chiusura da parte degli admin alla possibilità che la mia collega ed io partecipassimo, mettendo a disposizione gratuitamente la nostra esperienza professionale per poter offrire non già “consigli” ma utili spunti di riflessione ed un nuovo punto di vista sull’argomento.

Perché questa chiusura? Ci siamo date varie risposte: ipotetiche in alcuni casi, confermate in altri.

1) Per molti, lo psicologo è ancora il “pazzicologo”, cura i “pazienti gravi” e “chi ci va ha seri problemi”. E’ ancora duro a morire il pregiudizio su una figura professionale che, in primis, si occupa di BENESSERE e MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA. Quindi, quando dici “sono una psicologa”, spesso la reazione è di paura, di senso di estraneità e …“no, no! Non ci serve una psicologa!”. Il che è un vero peccato, perché la salute mentale dovrebbe sempre venire al primo posto. Al pari – forse addirittura prima – di quella fisica. E perché, ormai, è scientificamente dimostrato ed a tutti noto: salute mentale e peso corporeo vanno a braccetto.

2) Molte figure professionali non intendono confrontarsi con la possibilità di lavorare in sinergia e tendono a coltivare singolarmente il proprio specifico ambito specialistico. Lo psicologo ha una professionalità trasversale, potendo intervenire in diversi ambiti, supportando e donando valore aggiunto ad altri professionisti ed in molteplici contesti. Può infatti collaborare con medici, dietisti, nutrizionisti, diabetologi, chirurghi estetici e bariatrici, fisioterapisti ecc. lavorando nel privato, nel pubblico, presso palestre, centri estetici, studi polispecialistici, cliniche private, associazioni sportive e così via.

2) Alcuni soffrono di emotional eating (mangiare emotivo), una modalità comportamentale che porta a sfogare sul cibo tutta una serie di emozioni che non riusciamo, altrimenti, ad esprimere. Chi non si rende conto di avere questo problema si incolpa di essere privo di forza di volontà, pigro, ingordo, incapace di sacrificio, destinato al sovrappeso, e così via. Pur avendo un problema molto diverso dal sapere cosa mangiare e cosa non mangiare per perdere peso, molto spessoqueste persone si affidano alla dieta come unico strumento per affrontare il problema ed, altrettanto spesso, falliscono. Queste persone, semplicemente, sbagliano il professionista a cui rivolgersi perché dell’aspetto emotivo e motivazionale del problema; dell’autostima, della fiducia in se stessi; dei comportamenti, delle abitudini disfunzionali; di convinzioni e credenze errate, di conoscenza delle proprie dinamiche relazionali nei confronti del cibo e dei significati che esso veicola… se ne occupa lo Psicologo specializzato nella gestione del comportamento alimentare. Insistere con la dieta, in questi casi, è come pretendere di far curare una carie dal gastroenterologo. Semplicemente, non si può. Per cui, esulando lo psicologo dalla categoria “dieta”, i gruppi che si incentrano sulle diete spesso scelgono di confrontarsi solo su grammature, calorie e così via. Anche se il 70% dei post pubblicati riguardano poi il senso di sconfitta, la delusione, i fallimenti, la solitudine, la rabbia vissuta nella costante “lotta contro la bilancia”.

3) Molti vogliono credere all’esistenza di metodi infallibili per perdere peso senza sforzo e in poco tempo. venditori di questi prodotti lo sanno bene, e per tale ragione chiudono i gruppi a qualsiasi professionista che possa tentare di aprire gli occhi ai frequentatori, spiegando a quali danni (dal quanto dannoso effetto yo-yo a gravi disfunzioni cliniche) andrebbero incontro seguendo metodi illusori “quick-loss”. Illusori perché i risultati arrivano, ma durano poco. La DIET INDUSTRY è, infatti, il nemico NUMERO UNO di chiunque voglia davvero perdere peso. Se questi prodotti funzionassero, saremmo tutti normopeso e non avremmo alcun bisogno di essi. Pensateci.
Ovviamente, l’accesso a questi gruppi ci è stato puntualmente negato, oppure siamo state bannate non appena ci siamo presentate come (vere!) professioniste della salute.

4) Molti incentrano la frequentazione di questi gruppi su una continua richiesta di consigli per regolarsi (lo mangio o non lo mangio? Lo cucino così o così? Esco o non esco di casa per camminare? Voi avete fatto movimento oggi? Che mangiate a colazione, di solito? ecc.), di pubblicazioni di fotografie dei piatti o dei propri corpi (secondo voi sto bene? Ieri ero così, oggi sono così… Oggi ho mangiato questo) per raccogliere pareri positivi o negativi, rischiando di far dipendere da un “pollice in alto” o da un commento la sensazione di essere nel torto o nella ragione e stabilendo sulla base di uno scambio superficiale – perché proveniente da uno schermo e da uno sconosciuto – cosa mangiare e non mangiare, se muoversi o non muoversi, se sentirsi bene o male, se vedersi dimagriti o no, se sentirsi forti o disperati, e così via.

Ritengo questi gruppi potenzialmente utili per molti, ma dannosi per altri: perché?
Principalmente perché portano a ricercare una etero-regolazione, agendo negativamente sulla capacità di autoregolazione, più sana e funzionale. Proprio quella regolazione interna che avevamo da bambini – vi ricordate quando affermavate con veemenza: “non ho più fame!” e vi rifiutavate di finire il piatto? – e che, crescendo, abbiamo perduto.
“Io abito il mio corpo; le mie emozioni; la mia mente. Io so cosa mangiare, quando fermarmi. Quando muovermi, come regolarmi.” Dovrebbe essere questo l’obiettivo di un percorso di cambiamento sano, a 360° e duraturo. Affidare un cambiamento che dovrebbe essere nostro al giudizio o al parere di qualcun altro, che non ci ha mai neppure incontrati dal vivo, è una modalità di affrontamento del problema insufficiente.
Inoltre, se da un lato esiste un evidente bisogno di contatto e di condivisione di un disagio, che viene parzialmente compensato dalla partecipazione ai social, dall’altro, essendo estremamente diversa da quella reale, tale interazione può contribuire a distorcere il pensiero che abbiamo su noi stessi, sugli altri e sul dimagrimento in generale, contribuendo a mantenere vivo il problema.
Mi spiego meglio.
Quando vediamo un’amica od un parente che sta perseguendo l’obiettivo di perdere peso, la nostra percezione della sua fatica, del suo impegno e dei suoi sforzi è molto più concreta e realistica di quella che ci arriva visionando foto, commenti e “like” dall’altra parte di uno schermo. La motivazione che può derivarci da qualcuno che lotta al nostro fianco “per davvero” è molto diversa dalla compartecipazione che possiamo trovare nel social network. La realtà che percepiamo “online”, a volte, non ci aiuta a credere che anche noi possiamo farcela. Più spesso, ci fa apparire il successo dell’altro come “magico” perché non abbiamo combattuto al suo fianco tutte le sue battaglie, così come lui non può combattere le nostre assieme a noi. E il rischio è di sentirci ancor più soli perché altri, a quanto pare, riescono a cambiare mentre noi siamo lì, davanti allo schermo, infelici spettatori dell’altrui successo. Non perché siamo dei falliti privi di forza di volontà, ma perché l’aiuto che stiamo ricercando in quel momento, semplicemente, non è quello giusto per noi.
Al contrario, quei gruppi in cui compaiono foto e commenti di persone che, grazie a questo o a quell’altro prodotto, hanno “perso moltissimo peso in brevissimo tempo” rientrano direttamente nella categoria “truffa” e risultano estremamente pericolosi perché inducono a convincerci che anche noi, acquistando quel prodotto, otterremo quel risultato. Allontanandoci ancor di più dalla meta.

Molti gruppi social sono, inoltre, spesso estremamente chiusi, con amministratori che stabiliscono insindacabilmente cosa sia giusto o sbagliato per i propri membri, cosa sia possibile e non possibile pubblicare e quindi diffondere, su cosa sia il caso o meno far ragionare gli altri componenti, cosa sia professionalità e cosa, invece, marketing.
Molte volte, gli admin vivono nella paura che qualcuno possa entrare per farsi pubblicità, vendere prodotti e così via. A nulla valgono spiegazioni dettagliate sul nostro lavoro e sulla nostra posizione professionale. La paura di “perdere il controllo del gruppo” è più forte. Spesso questa paura è dettata da esperienze precedenti davvero negative: tutti noi sappiamo quanto sia fastidioso lo spam presente nei social media, nelle email, a volte anche nella linea telefonica fissa quando gli operatori ci subissano di chiamate indesiderate per proporci offerte che non ci interessano. Ma, a volte, siamo puramente CHIUSI – ostacolo da noi concretamente incontrato più volte – alla possibilità che qualcun altro possa intervenire in un ambito che riteniamo “nostro”, anche se l’intento è di pubblico e reale interesse, avendo le competenze e gli strumenti per gettare nuova luce su un problema condiviso e particolarmente sentito.

Ovviamente, come avrete letto, non voglio generalizzare. Ho scritto “molto spesso”, “a volte” e così via, perché esistono realtà a sé stanti e queste valutazioni si basano unicamente su quelle in cui ci siamo imbattute nel corso delle nostre ricerche. Vi sono anche gruppi dove il supporto, lo scambio e soprattutto la RELAZIONE CON L’ALTRO (seppur mediata dallo schermo) aiutano, sostengono e rinforzano la motivazione; ma la gran parte di essi non viene aperta – anzi, viene volontariamente chiusa – proprio a quelle figure professionali che potrebbero apportare un contributo sostanziale, supportato da evidenze scientifiche e non finalizzato al marketing.

Attualmente, quindi, il solo canale comunicativo che abbiamo trovato per far arrivare all’utenza dei social la nostra “mission” è stato quello di creare un nuovo gruppo Facebook e di invitare chiunque fosse interessato all’argomento ad iscriversi per discuterne con noi.

Speriamo, attraverso il nostro lavoro, di stimolare un’apertura mentale; di invitare le persone ad informarsi; a conoscere di quali alternative dispongono per poter perdere peso; a saper distinguere quelle valide e sane da quelle ingannevoli e pericolose; a capire come funziona la mente umana in relazione al cibo, attraverso la lettura di articoli e ricerche scientifiche; a conoscere i disturbi alimentari, per prevenirne l’insorgenza; a prendere confidenza con termini come “diet industry”, “quick loss”, “set point”, “yo-yo”, “metabolismo basale”, “stile di vita attivo”, “automatismi”, “credenze disfunzionali”, “abitudini comportamentali scorrette” e così via. L’auspicio è che sia possibile acquisire un punto di vista diverso sul problema del sovrappeso letto in chiave psicologica, e che tutti possano confrontarsi con fiducia con la Psicologia del comportamento alimentare, branca delle scienze della salute che lavora per garantire alla persona che esprime un disagio il raggiungimento di una MIGLIORE QUALITÀ DELLA VITA.

dott.ssa Federica Majore
Psicologa, Psicoterapeuta

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