“…in giornate come questa, potrei mangiare qualunque cosa riesca a trovare in casa. Appena metto a letto i bambini, apro il frigorifero cercando qualcosa da mangiare. Mi giustifico con dei pensieri del tipo sono stanca, ho avuto una giornata pesantissima, me lo merito, tanto che cambia, già sono grassa, una cosa in più o una meno… non farà la differenza. Dopo aver fatto fuori tutto quello che trovo, velocemente, mi rendo conto di averlo fatto praticamente in trance ed iniziano i sensi di colpa. Spesso non mi rendo pure conto di quante cose mangi, a volte mischio dolce e salato senza senso, a malapena mastico, mi sembra più di ingoiare. Mi rendo conto che quello che mi spinge è la ricerca di una specie di coccola,di ricompensa. Funziona i primi 30 secondi, poi sto malissimo, non solo mi fa male lo stomaco ma mi sento un disastro, un fallimento. Ingrasso sempre di più, magari sto anche attenta tutto il giorno…ma la sera, quando la giornata si chiude, non c’è niente da fare. Devo mangiare!”

Riporto sinteticamente ed anonimamente parte di una mail che ho ricevuto recentemente. E’ la storia di una donna, ma è comune a tante donne e uomini che soffrono di emotional eating. Mangiare ha un potere contraddittorio: può calmare e rilassare, ma allo stesso tempo può deprimere, far arrabbiare, farci stare male e causarci un ulteriore stress.

Chi si riconosce in queste parole, spesso ha tentato di portare avanti mille diete senza alcun successo. Questo non per mancanza di forza di volontà, Ma perché il problema alla base è psicologico e non dietetico. Finché non si lavorerà sulla propria mentalità, sarà impossibile modificare questo tipo di abitudine e di atteggiamento con un semplice piano alimentare.

Mangiare per trovare conforto è un comportamento generalmente definito fame nervosa o da stress. Queste espressioni descrivono momenti in cui si mangia con il preciso scopo di calmarsi, alterare emozioni o sentimenti, oppure elevarli, prolungarli, alleviarli o evitarli. Definiamo fame da stress quel consumo di cibo come reazione ad un senso di oppressione, rabbia, nervosismo, stanchezza, eccetera. La fame nervosa, ancor più comune, riguarda il consumo di cibo in come reazione a qualunque tipo di sentimento, anche a quelli piacevoli come il relax, la gioia, la felicità, l’innamoramento, eccetera. Si, avete letto bene, anche sentimenti positivi possono portare ad un’assunzione eccessiva di cibo. A volte si mangia perché ci fa sentire bene e non vogliamo che quella sensazione svanisca. In altre circostanze stanchezza, bisogno di conforto, di consolazione, senso di noia e vuoto, difficoltà emotive, sociali e relazionali possono spingerci ad instaurare un deleterio rapporto di dipendenza con il cibo. In alcuni casi, questa tendenza si somma alla predilezione per “comfort foods“, cibi particolarmente dolci o ricchi di grassi, come pizza, merendine, torte e così via, che richiamano momenti spensierati dell’infanzia in cui venivano concessi come premio o negati come forma di punizione.
Aggiungiamo a questo il fatto che, come italiani, il cibo fa parte della nostra quotidianità e rientra nelle nostre eccellenze. Ormai non possiamo più accendere la televisione senza imbatterci in un programma televisivo incentrato sulla cucina, sulla pasticceria e così via.
Molte persone non si rendono neppure conto di essere in sovrappeso, obese o di star sviluppando un disturbo della sfera alimentare avviandosi a volte anche verso tendenze da “extreme dieter”; beveroni, pillole, chirurgia, sondino nasogastrico, eccetera. Altri, invece, capiscono di avere un problema di natura psicologica, ma ritengono di poterlo risolvere da sé, pur stagnando magari da anni, decenni della stessa condizione, senza esito. È lo stesso meccanismo per cui persone che hanno fallito con mille diete continuano a mettersi ciclicamente a dieta, in un fatidico “lunedì” che, per qualche oscuro motivo, si spera sia diverso da tutti gli altri lunedì in cui hanno, in precedenza, avviato una dieta.

Se il metodo non funziona, cambiate metodo. Non siete voi, é il metodo che non funziona per voi.
Laddove vi stiate riconoscendo in queste parole, la soluzione va ricercata in un percorso più complesso è profondo, che aiuti ad esplorare il proprio vissuto, la propria relazione con il cibo e con il proprio corpo, aspettative, credenze funzionali e disfunzionali, abitudini quotidiane, approccio all’attività fisica, storia del peso e così via. Una semplice dieta, un intervento chirurgico, uno shake proteico, una frase motivazionale, un libro, il consiglio di un’amica – financo l’ennesimo buon proposito – se non hanno funzionato finora, nello spingerci ad operare un reale e definitivo cambiamento, ragionevolmente non funzioneranno in futuro e perseverare non farà altro che consolidare il circolo vizioso e il senso di fallimento che naturalmente ne deriva.

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